lunedì 25 novembre 2024
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Riflessione sull'industria delle armi

i messaggi della politica spingono la corsa alla pistola e ad una giustizia fai da te

Riflessione sull'industria delle armi
Non c’è massacro che tenga. I 346mila morti da armi da fuoco in dieci anni, fra 2003 e 2013, non sembrano bastare a tanti cittadini statunitensi per convincersi che per evitare tragedie come quella del dicembre 2015 a San Bernardino, costata la vita a 14 persone e dai contorni ancora poco chiari, bisogna disarmare la società. Una bonifica totale anzitutto nelle menti e negli atteggiamenti delle persone.
Su fucili e pistole si fanno grandi affari, negli Usa. Ma anche in Italia. Basti analizzare i numeri dei background check, i controlli sulle identità degli acquirenti condotti da un’agenzia interna all’Fbi nel corso del Black Friday dello scorso dicembre. Gli acquisti sono stati 185.345, in crescita del 5% sull’anno scorso. Nulla inceppa la fame di piombo.

Lo scorso ottobre 2015 il sistema ha processato quasi due milioni di acquisti. Non si tratta solo di pezzi nuovi e peccato che a quei numeri si debba aggiungere quella alta percentuale, stimata intonro al 45%, di armi vendute fuori dal mercato regolare, quindi contabilizzato. Inoltre il meccanismo analizza solo le transazioni effettuate nelle rivendite autorizzate escludendo i rivenditori che frequentano le fiere specializzate, i gun show che si sono tenuti nel corso del Venerdì nero. Possiamo pertanto dire che questi numeri possono essere quasi raddoppiati.
Il che dà la misura della mostruosità del fenomeno, davvero oltre ogni sensatezza.

L’aspetto assurdo è che non sembra esserci via d’uscita in termini di sensibilizzazione. Lo schema è chiaro: ad ogni massacro s’innesca un circolo vizioso che promette di armare un po’ di più la società.
Basti pensare che dopo l’ennesimo discorso di Barack Obama seguente alla sparatoria del primo ottobre scorso all’Umpqua Community College in Oregon, in cui sono morte nove persone, nel quale il presidente tornava a spingere per leggi più severe sull’acquisto e la detenzione di pistole e fucili, gli stock di due grandi produttori sono andati a ruba.
Altro elemento: nel nuovo millennio, il giorno che deteneva il record delle più massicce vendite di armi da fuoco era stato il 21 dicembre 2012, cioè una settimana dopo la sparatoria nella scuola elementare Sandy Hook a Newtown, in Connecticut, dove erano morti venti bambini e sei adulti. Ebbene, quel giorno se ne vendettero 177.170 pezzi in sole 24 ore. La strage di San Bernardino ha superato di circa 8000 pezzi in più il triste primato precedente.

Un dato è certo: ogni politica o strategia dissuasiva crolla sotto il peso di una corsa al riarmo. In questo senso le potenti lobby del piombo, su tutte la National Rifle Association che paradossalmente si definisce un’organizzazione per i diritti civili, tirano magistralmente i fili di questa situazione ed il messaggio che esce è più che paradossale: la necessità è di "armarsi per proteggersi" quando è proprio la grandissima diffusione delle armi il vero problema.
Secondo Jon Vernick, condirettore di un centro di ricerche dell’università Johns Hopkins, i messaggi della politica non funzionano. Anzi, fanno male, spingendo la corsa alla pistola.
Bisogna dunque ribaltare il messaggio, spingendo sui numeri, quelli più semplici e chiari da comprendere, certificati da diversi studi come quelli pubblicati sul The New England Journal of Medicine e che stabiliscono che chi detiene armi in casa è statisticamente meno al sicuro di chi non ne ha. Una constatazione diametralmente opposta alla credenza consolidata.
Nessuno, neanche Obama, ha trovato il modo di comunicarlo nel modo giusto. D’altronde, se neanche il sangue dei bambini è utile alla causa, l’impresa è davvero miracolosa.

Sorge una considerazione, forse provocatoria, magari sarcastica, ma che avanzo come riflessione.
Tutte queste stragi, tutti questi pazzi che decidono di passare alla storia attraverso massacri, che riempiono le pagine di cronaca nera con azioni di lucida follia, non saranno mossi ed alimentati dalla stessa industria delle armi? e non avranno creato questo  diabolico social network anche per muovere i fili di certa gente esaltata e alla ricerca di un senso della vita che, spesso, trovano in queste azioni di stragi e massacri?
Certo è che il social network è un’arma che, senza un controllo, o con un controllo che sfugge ad esempio dall'uso criminale dell’industria delle armi (ma anche di quei poteri che traggono profitto dai conflitti tra paesi e pezzi di società), diventa, inesorabilmente, letale come le stesse armi che continuano a spargere sangue e  morte.
Per questi motivi, e per tanti altri, sarebbe bene che quel messaggio usato da una parte della politica, purtroppo crescente anche nel nostro paese, che invita a farsi giustizia da sé anche con l’uso delle armi, facesse un passo indietro, pensasse meglio a quali sono gli effetti che ricadono sulla società, cambiassero linea e smettessero di alimenatre paure e odio.
Almeno il far west ai nostri figli e nipoti, cerchiamo di non lasciarglielo in eredità.
Già non gli stiamo lasciando in dote grandi cose, almeno questo possiamo risparmiarglielo.

©Roberto Roby Rossi

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