Qualche giorno qui, dove un vento violento e pungente smuove con forza la mia piccola tenda e mi ricorda che, anche a queste latitudini, è la notte di capodanno, anche qui, in questa parte di
Africa.
Quell'Africa colonizzata, sfruttata, dove l'occidente ha voluto imporre le sue regole, quelle del business, dell'occupazione e della sottomissione.
Erano anni che immaginavo questo viaggio, breve ma intenso, lontano da tutto, fuori dal tempo. Per una decina d'anni, fino al 1998, l'Algeria è stata terra di guerre e di combattimenti, creati ad hoc con la solita molla dell'integralismo islamico, una miccia sempre pronta, tenuta lì per essere innescata da chi, sulle guerre, monta le proprie fortune.
Giungo un pomeriggio di fine anno, poche cose con me, tanta voglia di questo cielo. Una parte del viaggio, permessi, volo e contatti locali, indispensabili per muoversi da queste parti, sono gestiti da un'organizzazione specializzata in escursioni nel deserto,
Sahara Mon Amour, che si riveleranno molto professionali e preparati.
La tappa è
Djanet dove giungo, con 2 ore di volo, da
Algeri. Djanet sorge a oltre 100 mt di altitudine ed è la più grande oasi del sud-est algerino, dove si contano, mi dicono, oltre 50.000 palme. Incontro
Salìm e
Mehdie, le due guide algerine incaricate dall'agenzia, il primo un algerino anziano dal viso scorticato dal sole e dal vento, il secondo è giovane, asciutto e dal viso spigoloso, entrambe cordiali e spiritosi nel loro francese quasi perfetto, almeno rispetto il mio. Poso i bagagli nella specie di albergo dove sosterò per questa notte e per un'altra al rientro dall'escursione. Saliamo fino al vecchio fortino della legione da dove si apre l’insieme dell’oasi. Uno spettacolo. Andrò a coricarmi presto, dopo aver mangiato verdure ed una specie di pastina fine, tipo cus cus.
La partenza con il fuoristrada è di mattina molto presto, la luce abbagliante rende tutto molto diverso da come l'avevo lasciatla sera prima.
La direzione sono i bastioni del
Tassili n’Ajjer, per raggiungere l’
oasi di Ghat. Attraversiamo visioni di meraviglia pura, dalle falesie del
Tadrart Akakus a
El Berdj, per arrivare a
Tibenkar e a
Tiknewen (
le gemelle), due guglie solitarie che si ergono dalle sabbie in uno scenario da incanto. Si superano numerosi siti di arte rupestre dentro questo mondo di dune dorate. Tappa a
Essedelaghe, la "g
rotta delle strane ranocchie” per sgranchirci un po' le ossa e mangiare una tavoletta di cioccolato. Ripartiamo e scavalchiamo la cresta di duna
Moul n’Aga, la “
testa della gazzella”, oltre la quale un gioco di rocce e sabbia scolpisce uno scorcio di forte suggestione. Dune incombenti ed antiche falesie, arditi archi, poi guglie e torrioni si avvicendano per accompagnarci in un continuo stupore. Ci fermiamo solo qualche minuto perchè Salìm vuole farmi notare sul terreno alcuni resti archeologici, tra macine e pestelli e strumenti litici di un antico tempo in cui il
Sahara era verde, coltivato e bagnato da grandi fiumi sulle cui sponde si sviluppavano civiltà agro-pastorali.
Lungo il viaggio Salìm e Mehdie mi rivolgono una miriade di domande riguardo la mia città, la mia famiglia, i miei studi, i miei viaggi. Mi rifarò appena giungeremo a destinazione, a
Tin Merzouga, grandi dune di sabbia rossa che catapultano la mente oltre, oltre ogni cosa, ogni pensiero, ogni ricordo, oltre oltre oltre... Questo è il senso più assoluto, è tutto, è nulla. Questa è la meta dove lo spirito vola alto, qui risiede l'unica risposta ad ogni domanda, nessuna risposta.
Montiamo le tende,
Salìm accende il fuoco, si scaldano poche cose da mangiare, non mi chiedo cosa.
Mehdie organizza le coperte e gli zaini. Il suono del vento copre le nostre parole, le sue sferzate tagliano orizzontalmente la sabbia e la faccia, forte, come a voler portare via l'anno che è giunto al suo epilogo.
Parleremo tutta la notte, tocca a me fare domande e ne farò mille, fino a che gli occhi non si chiuderanno. La loro storia, le loro famiglie e il popolo
saharawi, una storia intrisa di oppressione e colonizzazione che ha inizio con quella spagnola.
Mehdie racconta della fuga dalla loro abitazione, lui con i genitori e sei tra sorelle e fratelli, un giorno d'inverno, con un vento come questo, mi dice. Accadeva nel 1976, aveva solo 7 anni. Come lui l'intero suo popolo fu costretto a lasciare la propria terra per l'aggressione militare delle forze marocchine.
Storie di guerra, di conquiste, di invasioni, sempre le stesse storie.
La stanchezza è tantissima, ma il sonno non arriva facile, solo il crollo fisiologico porta ad entrare nelle tende e sistemarsi per dormire, mentre fuori il vento soffia sempre impetuoso, il cielo è un manto blu puntellato di milioni di luci. E non vorresti perderne nemmeno una. Ma la stanchezza ha il sopravvento, purtroppo, o per fortuna...
Sogno mille sogni. Tra le tante parole del giorno ci si chiedeva come fosse possibile vivere un'intera vita senza aver mai assistito ad uno spettacolo come questo, come fosse possibile negare agli occhi e al cuore queste immagini. Non c'è stata risposta, qui non ci sono risposte.
Solo quiete, silenzio e solitudine.
Qualcuno mi diceva che i miei viaggi altro non erano che la determinazione del mio egoismo.
Ma quale aspetto romantico? Quale ricerca interiore? Quale piacere della sfida, dell'estremo, dell'ignoto? Prevale quel piccolo substrato di narcisismo e di piccolo orgoglio, quella vaga vanità nel sentirsi diversi, forse superiori, o il bisogno di ritrovare stima di sé, considerazione perduta nelle continue infinite piccole sconfitte quotidiane, di tutti i giorni.
Non so, non mi interessa, forse vero, ma non importa. Conta solo essere ora qui per vivere questi momenti, fuori dalle domande, fuori dalle risposte, qui dove non c’è né un prima, non c'è un dopo, c’è solo un momento, questo, unico, infinito perchè indimenticabile.
La mattina si cammina, si scollinano le dune, alte, uguali ma non identiche, il vento un po' le ha mosse, ha spostato un po' di sabbia da qui e l'ha portata più in là. Tutto cambia, nulla si modifica.
E questa è la certezza. Quello che serve per darci maggiore forza, più convinzione. Quella certezza che nella nostra vita è un'utopia. Una società, quella dove tornerò presto, che deve avanzare, crescere, progredire dicono, che chiamano sviluppo... che invece toglie tempo, logora rapporti, impoverisce lo spirito, inaridisce l'anima.
Nella camminata su e giù per queste dune, avvolto nel fascino di qualcosa difficilmente descrivibile, le riflessioni si mescolano ai click della
Canon che vuole fermare momenti di un viaggio straordinario, per immagini che possano essere memoria non solo visiva, ma anche della mente, perchè mi dico che questa libertà di pensiero, questa leggerezza e gioia che permea ogni parte di me, non sarà più tale altrove, via da qui.
Guardo attorno a me, sopra e sotto di me, e dentro sorrido di felicità.
Salìm e
Mehdie avanzano a qualche decina di metri, con quella facilità che non è mia, su queste distese altalenanti di sabbia che ancora si muove al vento, assai calato rispetto alla notte.
Sotto le luci delle stelle mi hanno parlato dei
Mauri, dei
Tuareg, dei
Toubou, gli abitanti del
Sahara. La "gente delle nuvole", così sono chiamati i Mauri, gli abitanti della regione a nord della Mauritania e dell’ex Sahara spagnolo, perchè sono sempre all'inseguimento delle piogge. L’etnia più nota e mito del deserto sono invece i Tuareg, gli uomini blu, che abitano la regione centrale del Sahara. Concentrati soprattutto nel massiccio del Tibesti, in alcune regioni
in alcune regioni del Ciad e nella
parte orientale del Niger sono infine i Toubou, tutte popolazioni che
hanno nel destino il continuo peregrinare, nomadi sempre in cerca di
pascoli e di pozzi d’acqua.
Al contrario della nostra cultura che
ci vuole “arrivati”, il lavoro, la casa, la mira del collocarsi e
stanziarsi. Per un viaggiatore, invece, che ha nel sangue il
conoscere, sapere, confrontarsi, il nomadismo è più consono, un
modo per sentirsi liberi e aperti verso nuovi spazi, verso il poi.
Il fascino di questi luoghi, le
semplici abitudini, la curiosità per la loro storia, aumenta con il
trascorrere del tempo. L’essenziale che si contrappone alla
quantità, la scoperta di potersi accontentare e di provarne piacere.
Di poter vivere lontano dal tutto e da tutte le cose del nostro
mondo. La necessità di fare fronte alle esigenze primarie, senza
alterarsi alle vicende di tutti i giorni, delle notizie dei giornali,
delle scadenze, delle bugie di chi comanda, delle ruberie di chi
governa.
Salgo lentamente sulla cima della duna,
le mani sui fianchi, poi un pò penzoloni, poi agganciate allo zaino.
Ho un turbante blu sulla testa che mi ha indossato Salìm e che copre
quasi tutto il volto “per proteggerti dalla sabbia e dal sole –
mi dice – lo devi tenere...”. Salgo su fino alla cima, tutti
possono vedermi perchè non c'è alcun riparo, sei come sei, con le
tue debolezze, con la tua forza. Tra poco arriverò dove ho deciso.
Sulla sabbia si cammina con molta fatica, i piedi possono sprofondare
nella sabbia ad ogni passo. Ma ci sono quasi, la vetta è lì,
vicina, sembra, ma non è così... Sulla cima di una duna non sai mai
cosa troverai, puoi scoprire nuovi orizzonti o ritrovare lo stesso
identico paesaggio che hai lasciato dietro di te. E' una scoperta
ogni volta, o una riscoperta. Dall'alto voglio godermi l’aria, il
sole, il cielo, voglio aprire le braccia e chiuderci dentro quanto
più posso.
Un viaggio dentro un viaggio. Questo
mi sento. Nel diario scrivo sentimenti, sarà meno guida, sarò più
io. Per ricordare il momento e le sensazioni di quel momento.
La supremazia della scrittura ha poco
valore qui. Qui dove può sembrare che nulla accade. Qui dove invece
accade che scopri di essere ciò che non hai mai saputo di essere.
Tornerò alla tenda, splendidamente
stanco, arruffato nei miei capelli mai ordinati. Si farà sera,
scenderà il buio, si illuminerà il cielo. Un fuoco ardente
sprigionerà zampilli rossi che saliranno alti. E si spegneranno
prima di raggiungere le stelle. Ogni cosa risponde alla più estrema
naturalezza, senza che la mano dell'uomo abbia potuto violentarla.
Domani è Djanet. Poi Algeri. Poi casa.
Dove l'uomo, anche in questo preciso istante, sta violentando ogni cosa...
©Roberto Roby Rossi