lunedì 25 novembre 2024

Primo giorno in Karamoja

Moroto 15 luglio 2007

Primo giorno in Karamoja
E’ domenica. Il risveglio ci ritrova tutti attorno a quel tavolo sul quale poche ore prima avevano consumato una veloce cena, dopo un viaggio interminabile che da Kampala ci portava qui a Moroto. Dopo colazione, la mattina si svolge dentro il centro, dove da venerdì si svolge una cerimonia che si conclude proprio quest’oggi, organizzata dal centro pastorale giovanile diocesano.
Tutte le parrocchie della regione si ritrovano e portano le loro tradizioni, tra suoni, canti e balli tali da rendere questo evento, che si ripropone due o tre volte l’anno, anche una rappresentazione delle tradizioni e dei costumi locali. Un momento di festa, un occasione di incontro, un’opportunità di scambio, di socializzazione.
Conosco Robinson e Loly, due karimojon dipendenti dell’organizzazione, impegnati nel centro giovanile. Cominciamo a discorrere e si dimostrano subito molto piacevoli, cordiali. C’è tanta gente attorno e tanti si avvicinano a salutarci, altri più lontano stanno provando il ballo con il quale andranno ad esibirsi.
La manifestazione ha luogo all’interno di uno dei tanti capannoni del centro. Di fronte il campo di calcio, di fianco un’area per la pallavolo e per il basket, con un canestro. Su un lato una parte delle abitazioni dei dipendenti.

Il centro di Cooperazione e Sviluppo appare, a tutti gli effetti, una struttura ben concepita, sia per la sicurezza, sia per assolvere a tutti i servizi che all’interno vengono svolti. Apre le porte tutti i giorni a coloro vogliono accedere. Funge da centro di aggregazione, socializzazione, fornisce opportunità di occupazione per le tantissime mansioni che qui sono richieste. Si organizzano attività sportive e ricreative. Distribuisce generi alimentari, capi di abbigliamento, materiale di vario tipo utile alla comunità locale. I nostri alloggi sono confortevoli. Due, tre, quattro persone per camera, con bagno.
Parlo con Lavinia, una ragazza piacentina che è qui da maggio dello scorso anno, che ci aveva accolto a Kampala e con lei avevamo diviso il viaggio fin qui a Moroto. Rispecchia esattamente la figura di chi sceglie un’esperienza di questo tipo. La ragazza giusta nel posto giusto. Graziosa e molto socievole, ascolta tutti ed ha una risposta per tutti. Insomma, non è qui per caso.
Così come Sara, che viene da Napoli e che ha alle spalle nove mesi di Palestina, con un’organizzazione umanitaria. Mi parla di quella esperienza e di questa con Cooperazione e Sviluppo. Sono persone con le quali parleresti per giorni interi, con le quali trovi subito una perfetta sintonia. Nessuna banalità, nessun pregiudizio. Tanta amicizia e umanità profusa a piene mani. Come pure Cristiano, di Roma, il ragazzo che con loro coordina il centro. Gente spontanea, diretta, tranquilla. La prima mattina al centro trascorre così, per poi ritrovarsi a tavola. Il batacchio di una campana annuncia che il pranzo è pronto. Sono le 12.30. Cucina semplice. Un buon piatto di pasta, poi verdura e un po di carne. Da bere acqua minerale, rigorosamente in bottiglia. Frutta e caffè. Qualche minuto nel porticato che corre attorno al fabbricato che ospita la sala di ristorazione, le camere, la lavanderia.

Sono le 14.00
. Chi lo desidera può riposarsi, oppure ci si può intrattenere a chiacchierare, a visitare il centro, andare al centro giovanile. Alle 16.00 siamo in uscita diretti all’orfanotrofio gestito dalle suore di Madre Teresa, che dista venti minuti di passeggiata. Arriviamo e conosciamo Suor Maria che, con altre tre suore, sono alla conduzione di questo posto. E’ forte l’impatto, evidente sul viso di ognuno di noi. Rimaniamo scioccati, sconcertati. Appena entrati una schiera di bambini corre verso di noi. Altri se ne stanno fissi e ci guardano. Alcuni sorridono, altri forse non l’hanno mai fatto.
Sono in condizioni pietose. Tanti, o tutti, sono malati di qualcosa.
Chi AIDS, chi scabia, chi altro, chi tutto. C’è un albino già grandicello, di circa otto anni, che è stato abbandonato dai genitori perché ritenuto una maledizione. Portato nei boschi a lasciarlo morire. E’ stato trovato e portato all’orfanotrofio. Si guarda in giro ma pare non vedere nessuno. Pare proprio abbia perso la speranza. Un altro nonvedente e con difficoltà motorie sta solo e parla da solo. Altri invece sorridono, ci credono ancora. Gli occhi dei miei compagni mi dicono cosa stanno sentendo dentro, nel cuore. Sono gli occhi di Paolo, di Franca, di Caterina, di Roberta, di carolina, di Arianna, di Federica, di Serena, di Nicolò… di tutti noi.
Rimaniamo lì meno di due ore. Sembrano venti. Uscendo ci guardiamo tra di noi, ma non abbiamo parole. Questi bimbi di tre, quattro, cinque, sei anni, qualcuno più grande, si sono attaccati a noi e per tutto il tempo non ci hanno lasciato. Ci guardano negli occhi e ci parlano di loro. Siamo all’uscita e loro sono ancora con noi.
Nicolò
mi guarda e mi dice "vedi questi bimbi di cos’hanno bisogno?" e mi indica quello che ha con sé.
Si, è vero. Hanno bisogno di qualcuno che gli tenga la mano…

©Roberto Roby Rossi

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