slum di Korogocho - altre storie di nessuno
Lillian Atieno e Dorcas Anwor
Lillian Atieno
Lilian ha 27 anni ed è vedova. Il marito è morto solo qualche mese fa. Ha due bambini maschi di 4 e 7 anni. “Mi aiuta un’associazione che opera qui a Korogocho – ci dice – perché da quando è mancato mio marito i grossi problemi che già avevamo ogni giorno, sono diventati insuperabili”.
Gli hanno trovato una piccola occupazione che la porta a guadagnare qualche scellino, lavando e rammendando vestiti, mentre i bambini sono curati, per quelle ore, da volontari dell’associazione.
“Voglio sperare che i miei figli, crescendo, non vivano la miseria di Korogocho – continua Lillian – e che possano avere una possibilità, quella che a me e al mio povero marito non è stata concessa”.
E’ forte, però, parla con fermezza, non si è arresa, ci crede Lillian.
Deve farlo, per se stessa e per quelle due giovani creature di 4 e 7 anni, che devono avere di più e di meglio di quello che c’è qui dentro, in questa baracca di Korogocho.
Dorcas Anwor
Attraversiamo lo slum, ha ripreso a piovere. E’ nei pressi della zona più periferica di Korogocho che andiamo a trovare Dorcas, una ragazza di 34 anni.
E’ inferma, una gamba malata, ampiamente fasciata per una infezione. Sullo smunto e sfondato divanetto passa da qualche giorno le sue giornate. Noi ci accomodiamo sulle due sedie in plastica e Dorcas comincia a raccontare.
“Ho 6 figli, il più piccolo, Ronald, ha 3 anni – ci dice mentre se lo tiene stretto a sè – mio marito è morto 2 anni fa”. Altri 3 figli lavorano giù a Nairobi, trascinano carretti o aiutano nei cantieri. Sono tutti lavori occasionali, che iniziano la mattina e terminano la sera. Il giorno dopo sono ancora in cerca di qualcosa, quello che serve per sfamare la mamma e gli altri fratelli.
“Io lavo vestiti – continua Dorcas – guadagno 50 scellini al giorno”. Sono 50 centesimi che si sommano a quei 2 o 3 euro che portano a casa i ragazzi. “Il mio secondo figlio, Fabian ha 11 anni – parla con orgoglio ora Dorcas – e ha grandi doti artistiche, me lo dice anche la sua ex insegnante, questo lo ha fatto lui”.
Indica, con la mano, un dipinto sulla parete alle mie spalle che raffigura un paesaggio verde e all’orizzonte il mare. Bello, gli dico, lei sorride. C’è bisogno di questo, di sognare, di evadere anche in questo modo, con i pennelli, con i colori.
Poi un giorno, si spera, rimarrà un ricordo, quello di un passato dal quale bisognava scappare anche solo così, con la fantasia, con la mente, con l’arte.
©Roberto Roby Rossi
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